
I tempi dell’amore sono come quelli delle fiction?
Per farsi un’idea del mostro che il montaggio televisivo ha generato in noi, basta guardare un episodio di CSI: un cadavere viene ritrovato, fotografato e rimosso. Nella scena successiva il coroner ha già fatto l’autopsia e trovato tra i capelli della vittima, insieme alla gemma dell’unico esemplare di Eucommia ulmoides presente in territorio statunitense, anche un piccolo frammento di DNA. Tampone, analisi immediata, e dopo un attimo la scritta “Match” lampeggia sullo schermo come un’insegna di Las Vegas. Tempo intercorso tra ritrovamento del cadavere e individuazione dell’assassino: 30 minuti circa.
Deve trascorrere altro tempo prima della cattura definitiva, ma solo perché gli investigatori, dopo aver “notificato” l’arresto al colpevole da 300 metri di distanza agevolandone la fuga, sono impegnati in un inseguimento al cardiopalma, comprendente sempre grande scempio di banchi di frutta e altre attività produttive: tre minuti di adrenalina pura, al termine dei quali riescono finalmente ad ammanettare il fuggiasco. Con buona pace di tutti, dopo 55 minuti pubblicità compresa dal ritrovamento del cadavere, l’assassino riposa al fresco a spese dei contribuenti, dopo aver candidamente confessato il proprio delitto.
Abituati a tanta efficienza sul piccolo schermo, non possiamo non prendercela coi poveri RIS di Parma – e non quelli della fiction – che si ostinano a trovare sui cadaveri solo gemme di platani e tigli, di cui i nostri viali sono pieni, o escrementi di piccione comune. In questo modo la durata delle indagini con successiva cattura del colpevole, anziché in minuti si misura in giorni, mesi, se non addirittura anni.
Lo stesso che in CSI, succede nei film che prevedono nella trama una relazione uomo-donna. Non stiamo parando delle commedie sentimentali, nelle quali il lieto fine è procrastinato, come dice l’espressione stessa, fino a pochi minuti dai titoli di coda. Parliamo di quei film in cui il l’unione dei due protagonisti non è il momento clou della storia: i due si conoscono, si danno del “lei” fino a un attimo prima (come faranno, poi, visto che son quasi sempre film americani?) e un attimo dopo li ritroviamo in costume adamitico, o con pochi pezzi addosso, a rotolarsi su un letto, su una scrivania o su qualunque altra superficie disponibile. Nella scena che segue questa calorosa presentazione li sentiamo finalmente darsi del “tu”.
Le prime volte, alle anime belle, veniva ancora da chiedersi “E l’attesa? Il batticuore? Il bacio sotto al portone senza chiedere di salire? Dov’è finito tutto quello per cui avevo pagato il biglietto?”. È il montaggio, baby! Non vorrai mica un unico interminabile piano sequenza dal primo sguardo al termine della storia?
Nel XXI secolo, le stesse anime belle, si sono ormai assuefatte ai tempi tecnici televisivi o cinematografici e non nutrono più aspettative sui tempi lasciati dal montaggio al romanticismo. E nella vita reale?
Nella vita reale – va premesso per dovere di cronaca – i tempi investigativi di CSI rimangono una chimera, non fosse altro perché i database di DNA schedati sono limitati e lacunosi e i tempi tecnici dei test oscillano tra le sei ore e i “qualche giorno”.
Non è così per i tempi dell’amore che sembrano essersi prontamente adattati a quelli della fiction, saltando a piè pari quella fase di purgatorio infinitamente più eccitante del paradiso che è il corteggiamento: il gioco di sguardi durante lo “struscio”, l’aspettativa dell’approccio, l’ansia dell’attesa dell’sms, i sogni ad occhi aperti mentre leggiamo, nell’oroscopo di Metro, prima il nostro segno, poi il suo.
Lo fanno le farfalle, lo fanno gli uccellini, lo fanno anche i cervi a primavera. Possibile che proprio noi, che siamo gli animali più evoluti, rinunciamo alla nostra dose di poesia senza lottare?
Ma a chi manca di più il corteggiamento? All’uomo, che per natura è cacciatore e che perde metà del divertimento se la preda gli cade nel carniere già bell’e impacchettata? Oppure alla donna, tradizionalmente vestale del sentimento e dell’aspetto meno pragmatico della vita?
E a chi spetta l’onere di ripristinare questa tradizione così démodé, per la quale, saremmo pronti a scommettere, anche la più indefessa delle femministe darebbe il proprio braccio destro?
È lecito pensare che, essendo sempre stato l’uomo a corteggiare, dovrebbe essere lui a incaricarsi di riportare le cose al punto in cui i padri, se non addirittura i nonni, le avevano lasciate. Pare però, che il diritto al corteggiamento (e non semplicemente al lancio dell’amo, com’è sempre stato nei secoli dei secoli per la donna) sia entrato a far parte di quelli costituzionalmente garantiti dalle pari opportunità. Non è escluso quindi che le parti possano invertirsi.
Ma ipotizziamo, con la nostra indole romantica, che sia l’uomo a fare la prima mossa: quanto tempo, quante telefonate e quante uscite deve lasciar passare la donna prima di capitolare? Se “mai la prima sera” ma la seconda sì, è la versione 2.0 del corteggiamento, alzi la mano chi si ritiene soddisfatta. Non molte, credo. Il problema è che quello che per le nostre mamme non rappresentava un esercizio di stoicismo, ora come ora, rischia di convertire il momento più adrenalinico del rapporto, in una sorta di gioco di ruolo o di strategia militare, totalmente priva di spontaneità. Oppure di essere letta come un divieto di accesso permanente dalla “controparte”, costringendola alla ritirata.
In sintesi: siamo ancora capaci di farci corteggiare (o corteggiare), oppure il montaggio ha cambiato irreversibilmente l’iter dell’amore?
Dinia Battellini