Scopriamo le più diffuse forme di sharing economy utili nella vita di tutti i giorni.
Nonostante sia stata ormai ufficialmente smentita la notizia che vedeva la corrispondenza, nella lingua cinese, tra le parole “crisi” e “opportunità”, noi di Milady, inguaribili Polyanna, abbiamo trovato una grande opportunità derivante dal momento di crisi: il boom della sharing economy.
Anche se l’uso del termine inglese lo fa sembrare la scoperta del secolo, parliamo, in realtà, di un concetto arcaico, ma neanche troppo: ancora la generazione dei nostri nonni o bisnonni metteva in comune braccia, mezzi, o qualunque cosa permettesse di sopravvivere uniti, in periodi di miseria. Il boom economico, rendendo tutti benestanti e indipendenti, ha fatto superare questa forma di solidarietà forzata che faceva comunque bene al cuore.
La recente crisi ha segnato però il passo inverso, costringendoci a tornare alla cooperazione, con una mutazione genetica determinata da quella grande alleata che è la rete.
I benefici della sharing economy non sono solo “monetari”, sono anche ambientali e morali, come possono esserlo la riduzione delle emissioni e la lotta allo spreco. Ma il suo vero valore aggiunto è la ricostruzione di quella rete sociale precedente a un’epoca in cui, con duemila amici su Facebook, ci si ritrova a piangere sempre da soli.
Qualunque siano i vantaggi che vorrete trarre dalla sharing economy, ecco alcuni suggerimenti per sfruttare questa opportunità nelle sue diverse declinazioni, cominciando da quelle più utili nella quotidianità.
I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS)
La forma “istituzionalizzata” di acquisti solidali sono i GAS acronimo evidente di Gruppi di Acquisto Solidale. Nascono con la logica delle cooperative di consumo: l’acquisto diretto “all’ingrosso” dal produttore, principalmente di frutti della terra in senso lato, con lo scopo di erodere i costi derivanti dalla filiera lunga di distribuzione.
Nel tempo i GAS, grazie anche al web, si sono organizzati, ideologicizzati, la gamma degli articoli trattati si è estesa oltre l’abusato concetto di “Km 0” a prodotti chiaramente di importazione, e i prezzi non sono più così a buon mercato. Permettono però di assicurarsi prodotti quasi sempre biologici e tracciabili, a un costo un po’ più basso rispetto alla distribuzione ordinaria.
Se non volete saperne di ideologia, non siete talebane della lotta integrata, e il vostro scopo è semplicemente quello di far quadrare i conti, gli acquisti solidali si possono anche organizzare autonomamente.
Sapevate che quasi tutti i mercati generali delle grandi città, almeno un giorno a settimana, aprono al pubblico per smerciare l’invenduto? In alcune di esse, come Verona, l’apertura è giornaliera, in altre bisettimanale. Ci sono poi iniziative come il Mercato delle Opportunità di Firenze, che mette in vendita, il martedì e il venerdì, quei prodotti, brutti ma buoni, che vengono scartati dai commercianti soltanto per l’aspetto non proprio impeccabile. Le quantità vendute sono da ingrosso, ma organizzandosi con amici o vicini di casa, dividersi la cassa di pesce o di insalata non dovrebbe essere un problema. Il vero problema è che, di questi tempi, la concorrenza è abbastanza pressante, soprattutto dove l’apertura settimanale è unica; ma con un po’ di fortuna e di metodo, riuscirete ad aggiudicarvi la vostra provvista di zucchine o sardelle con cui sfamare tutto il condominio.
Che dire delle varie “operazioni bis”, “1+1”, “3×2” dei supermercati? Magari non le avete mai prese in considerazione perché siete single, avete poco spazio, e otto pacchi di caffè o due flaconi di ammorbidente formato famiglia vi sembrano difficili da gestire. Magari anche il vostro vicino di casa è single, e le ha sempre scartate per la stessa ragione. Se avete un minimo di confidenza proponetegli di unificare la vostra spesa. A volte si comincia col dividere l’ammorbidente e si finisce a condividere l’intera lavatrice e l’affitto. Oppure non ci sarà il lieto fine romantico, ma oltre a risparmiare sulla spesa consoliderete rapporti di buon vicinato, ormai purtroppo così freddi e formali.
Se invece abitate in zone a vocazione agricola, dove capita che la frutta marcisca sulle piante per mancanza di convenienza a raccoglierla (gli agrumeti ne sono purtroppo un esempio emblematico), perché non organizzarvi con un gruppo di amici e improvvisarvi raccoglitori in cambio di uno sconto sul prezzo di acquisto? Tutti gli agricoltori possono vendere direttamente al pubblico e alcune fattorie hanno già istituzionalizzato questo sistema: si va, si raccoglie, si pesa il raccolto, e si paga. Alle aziende agricole che non lo fanno, potrete proporlo voi stesse. In questo modo trascorrerete giornate in allegria, a contatto con la natura, avrete il privilegio di scegliere personalmente cosa portare a casa, evitando di ritrovarvi con l’immancabile “mela marcia”. Ne guadagnerà il vostro bilancio, quello dell’agricoltore, per non parlare del contributo che darete alla lotta allo spreco.
Vestirsi con niente: lo swapping
Dopo aver pensato alla spesa, passiamo allo shopping. In un momento di ottimismo, immediatamente successivo all’inizio della dieta e all’iscrizione in palestra, vi siete regalate quei jeans e quel cappottino che vi piacevano, ma richiedevano una taglia diversa dalla vostra. Poi i carboidrati hanno avuto la meglio sull’insalata, e il divano ha vinto la sfida contro il tapis roulant, relegando il vostro acquisto a prender polvere. Oppure vi hanno regalato una borsa griffata che cozza col resto dei vostri outfit.
Sull’onda della moda lanciata da Sex and the City, perché non scambiarli partecipando a uno swap party? In molte città sono una realtà consolidata. Vengono organizzati in location aperte al pubblico come veri e propri eventi, con apericena, spettacoli, ospiti del mondo della moda e comunicati in rete. Potrebbero anche essere occasioni per socializzare, se non fosse che di fronte alla corsa per accaparrarsi, praticamente gratis, un paio di Manolo, ogni donna si trasforma in una vera guerriera maori.
Se vivete in un piccolo centro, oppure preferite un’atmosfera più “casalinga”, pensate a organizzare voi stesse uno swap party con le amiche e le amiche delle amiche. Lo scopo è anche quello di divertirsi mentre si scambiano gli abiti. Sarà quindi fondamentale stabilire delle regole per evitare malumori dovuti al comportamento un po’ furbetto di qualcuna: innanzi tutto, per creare un’atmosfera conviviale, potete organizzare un piccolo buffet chiedendo a ognuna di portare qualcosa. Poi suddividete abiti e accessori in base a un presunto valore di mercato, in modo che chi porta “in dono” una t-shirt, non possa uscire impunemente con una borsa di coccodrillo. Uno scambio equo farà tutte felici.
Ovviamente quel che si scambia non deve essere sporco, vecchio e consunto, ma pulito, nuovo o in ottime condizioni.
Esiste anche un sito (e relativa app) con lo stesso nome, che a differenza di uno swap party “fisico”, che è un po’ un appuntamento al buio, permette di visualizzare i capi disponibili e di decidere se vale la pena di scambiarli con la borsa che la nonna vi ha regalato per la laurea. Il rovescio della medaglia e l’impossibilità a capire, dalle foto, le reali condizioni del capo e soprattutto l’effetto che farà su di voi. In più dovrete riconoscere una provvigione al sito in base al valore attribuito all’articolo scambiato.
Scambiare competenze: la Banca del Tempo
Masticate alla perfezione l’inglese, ma se il tubo perde e vi presentano un pappagallo, provate a fargli dire “Loreto”? La soluzione è a portata di mano con la Banca del Tempo: potete mettere a disposizione della comunità la vostra competenza e ricevere in cambio l’intervento di un membro della stessa associazione, che di idraulica ne capisce. Ora, non è detto che proprio all’idraulico servano le vostre lezioni o traduzioni. Anche questo non è un problema, perché la Banca del Tempo funziona proprio come una vera banca: chi ha riparato il vostro tubo vanterà un credito che potrà spendere per farsi rifare l’orlo ai pantaloni, magari dalla stessa persona a cui avrete tradotto la ricetta originale dei brownies da un antico manuale. O magari sarà un’altra persona a “pagare” la riparazione del vostro tubo. L’importante è la disponibilità a dare, a cui corrisponderà qualcosa in cambio al momento del bisogno, non necessariamente nell’immediato.
La Banca del Tempo non si pone l’obiettivo di rubare il lavoro ai professionisti, ma di scambiarsi degli aiuti tra abitanti dello stesso quartiere o della stessa città, come si faceva una volta quando era normale che una mano lavasse l’altra. Infatti lo scopo primario è soprattutto quello di mettere in contatto le persone, che a contatto vivono ma non si conoscono. Non pensate però che si limiti a un mero database online dove inserire richieste e disponibilità: l’adesione inizia con un colloquio presso la segreteria della banca di quartiere e prosegue con incontri con gli altri soci in occasione di uscite, iniziative, feste o scambio di favori.
Aderire alla Banca del Tempo è vantaggioso per tutti, sia che siate ciniche cacciatrici di bricoleur a buon mercato, e veniate poi folgorate sulla via di Damasco dal concetto di solidarietà, sia che siate promotrici dell’amore universale e vi ritroviate con la lavatrice riparata a costo zero.
Incontrarsi a tavola: il social eating
Nato con l’intento encomiabile di far conoscere le persone attorno alla propria tavola, in cambio di un contributo ai costi del pasto o poco più, per molti – troppi – il social eating si è trasformato ben presto in un vero e proprio business: in alcuni casi fornisce ancora un’occasione di pranzare o cenare fuori a prezzi non certo popolari ma comunque accessibili; in altri rappresenta il paravento dietro cui si nascondono veri e propri ristoranti: una concorrenza sleale per quegli imprenditori che, oltre a pagare le tasse, sono sottoposti a controlli estenuanti e rispetto di regole ferree da parte delle autorità preposte. Unica eccezione è Peoplecooks, nato per venire incontro alle esigenze di studenti, lavoratori o di chiunque si trovi fuori casa per motivi diversi, e voglia mangiare in compagnia senza svenarsi: il contributo massimo richiesto è di 6 € per un pasto completo.
Resta comunque valida per tutte le piattaforme, la funzione di aggregazione sociale per chi non abbia voglia di mangiare da solo al ristorante, per chi è da poco in città e non ha amici, per chi è single e preferisce che la scintilla con l’anima gemella scocchi di fronte a una carbonara anziché su un algido sito di incontri, per il turista che voglia integrarsi nel contesto della città, partendo da una cena fra amici.
E se siete appassionate di cucina e volete tirar su qualche soldino, potrete trasformarvi voi stesse in “coockers”, “gnammers” o in qualsiasi altro modo si chiamino i cuochi a seconda della piattaforma di social eating su cui operano.
Dividere lo spazio, moltiplicare le idee: il coworking
La mancanza di lavoro, soprattutto stabile, unita all’aumento della scolarità, hanno risvegliato la tendenza italica a fare di necessità virtù e portato molti giovani e meno giovani a diventare self employer.
Non apriamo polemiche sul trattamento riservato in Italia all’imprenditorialità, ma concentriamoci su quanto di buono può venire dalla necessità di contenere i costi fissi legati allo spazio di lavoro. Ai nastri di partenza, soprattutto per chi non ha una storia lavorativa alle spalle, e con un sistema creditizio avaro come neanche uno scozzese, l’organizzazione di uno spazio attrezzato in cui operare può diventare un problema. Si può anche eccepire che al giorno d’oggi, per sviluppare un’idea, basta un PC in camera da letto. Vero. Ma cose ne dite del senso di isolamento che questo modo di lavorare crea, capace magari di deprimerci e scoraggiarci a metà dell’opera? O dei problemi di immagine, se per caso la nostra idea piace e ci troviamo a ricevere il potenziale cliente tra la provvista di cipolle e il calzino sporco, oppure in un bar?
A un costo accessibile e senza alcun investimento, possiamo invece condividere, per il tempo che ci serve, uno spazio di lavoro con altri freelance, comprensivo di connessioni, attrezzature e un servizio di reception. In comune ci sono quasi sempre anche gli spazi sociali: cucina, sala ristoro e relax. È proprio da questi spazi, dove i professionisti si incontrano, si parlano, si confrontano, che possono nascere grandi idee e grandi sinergie. Qui la tecnologia inesperta della cyber generation, può incontrare la saggezza e la competenza commerciale di chi è più avanti con gli anni e dare vita a grandi cose, come possono farlo figure complementari, come il tecnico e il creativo. Anche il confronto con gli altri può portarci a rivedere progetti che credevamo vincenti ma che tali non erano.
Se nelle grandi aziende, dove tutti sono in competizione per la poltrona più alta, il concetto di gioco di squadra è solo un modo per riempirsi la bocca, in queste realtà di liberi professionisti può invece esprimere il meglio di sé.
Lo fai, lo impari, lo insegni: le ciclofficine popolari
Quella sopra riportata è la filosofia che ha dato vita a Milano alle prime ciclofficine popolari. Destinate agli amanti delle due ruote, ma solo in poche città, sono spazi in cui vengono messi a disposizione senza scopo di lucro, attrezzature e competenze per aiutarvi a riparare da sole la vostra bici.
Con una quota associativa simbolica, pezzi di ricambio portati da casa o acquistati in loco a prezzo di costo, i volontari vi insegnano l’arte della riparazione, chiedendovi solo di trasmetterla a chi verrà dopo di voi. E quando la vostra bici sarà troppo vecchia per essere tenuta in vita artificialmente, potete regalarla alla ciclofficina che riutilizzerà i pezzi di ricambio per altri ciclisti.
Sharing economy: le soluzioni più convenienti per vacanze e tempo libero
Complimenti, bell’articolo!