
Un approfondimento a cura dell’Ufficio Stampa Sorgente Genetica.
I nove mesi di gravidanza rappresentano un periodo bello ma delicato, sia per la futura mamma che per il nascituro. Per questo motivo è necessario pensare, fin da subito, alle varie situazioni che possono verificarsi. Quando ci si rivolge al proprio ginecologo di fiducia, normalmente si ricevono informazioni sul percorso di screening prenatale, come il test del DNA fetale o il Bi-test, o sull’esame di diagnosi prenatale, come l’amniocentesi o la villocentesi, più adatto al proprio caso per conoscere le condizioni di salute del bambino.
Gli esami di screening e le diagnosi prenatale servono a verificare la presenza nel feto di alterazioni cromosomiche, quali la trisomia 21 (sindrome di Down), la trisomia 18 (sindrome di Edwards), la trisomia 13 (sindrome di Patau).
Gli esami di diagnosi prenatale sono invasivi, ovvero danno una diagnosi ma hanno anche un rischio di aborto. Per questo, è consigliabile che la gestante si sottoponga a una amniocentesi o a una villocentesi solo quando sussistono fattori come la familiarità a determinate malattie.
Prima di sottoporsi a un test diagnostico di tipo invasivo, è consigliato fare un esame di screening prenatale, che è un esame non invasivo. Tra questi troviamo il Bi-test, o esame combinato, e il test del DNA fetale. Sono controlli di tipo probabilistico, poiché restituiscono il tasso di probabilità che il nascituro presenti anomalie cromosomiche.
Per sottoporsi al Bi-test è necessario prelevare un campione di sangue della gestante e verificare i valori di due biomarcatori di malattie del feto. Successivamente, occorre eseguire un’ecografia (la translucenza nucale) che consente di misurare il nascituro e verificarne la conformazione. Si può eseguire tra l’11a e la 13a settimana di gravidanza e la sua percentuale di attendibilità è solo dell’85% poiché restituisce anche falsi positivi, ossia risultati che indicano, per errore, la presenza di un’anomalia1.
Il test del DNA fetale è un esame di screening di ultima generazione e, anche in questo caso, occorre un campione ematico prelevato dalla gestante. Il test del DNA fetale può essere eseguito già dalla 10a settimana di gravidanza e offre un tasso di attendibilità nella rilevazione della trisomia 21 superiore al 99% di poco inferiore per le trisomie 13 e 18.
Il test del DNA fetale è più attendibile del Bi-test, restituisce meno falsi positivi e può essere eseguito prima.
Se l’esito del Bi-test o del test del DNA fetale dovesse essere positivo, sarà necessario approfondire il risultato attraverso un test diagnostico invasivo, come la villocentesi o l’amniocentesi.
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Fonti:
1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut