Se siete alla ricerca di un libro che unisca avventura, sentimento, riflessione, ma anche informazioni utili sull’Australia e che sia allo stesso tempo una sorta di manuale di auto-aiuto, ebbene potete trovare tutto in Troppi sogni per un cassetto solo di Valeria Plume, scrittrice esordiente che è riuscita a creare questo mix vincente che rende il suo libro unico, appassionante, coinvolgente dalla prima all’ultima pagina. Il lettore segue la protagonista nel suo percorso di crescita ed è spronato a crescere con lei, a psicoanalizzarsi e a trovare la voglia di godere di ogni piccola gioia che la vita possa regalarci.
Abbiamo intervistato Valeria per farci raccontare i retroscena di questo bel libro che è autobiografico e che racconta i suoi due anni trascorsi in Australia, tra ansie per il rinnovo del visto, un grande sogno da realizzare, tanti nuovi amici umani e animali, e soprattutto tante avventure. Vi consigliamo di seguire Valeria anche sul suo sito ValeriaPlume.it.
Hai ragione, anche senza volerlo, il libro è un melting-pot di generi, al punto che è stato difficile inserirlo in una categoria Amazon! Perciò ognuno può dargli le sfumature che vuole, in fondo ci appropriamo sempre dei libri e assegniamo loro il significato che li fa assomigliare alle nostre vite.
In gran parte è scritto sotto forma di diario, ma è “ricopiato” da quel taccuino di cui parli nel libro?
Da quei taccuini, ben tre! Scrivere è un’abitudine da quando sono bambina, ho un armadio pieno di diari dove ho riportato le altalene emozionali vissute nel corso degli anni. In Australia ho conservato questo rituale e sono felice di averlo fatto. Il libro è tratto interamente da quei diari, la prima cosa che ho messo in valigia prima di tornare in Italia.
Invece i pezzi scritti al passato sono delle aggiunte? Fatte quando?
Non volevo scrivere l’intero libro sotto forma di diario perché temevo potesse stancare. Ho preferito intervallare i “giornali di bordo” con una parte di narrazione, seppur gli episodi siano reali (nel bene e nel male) anche nella parte romanzata. La mia memoria, vivida come se fossi laggiù anche mentre scrivevo, è servita a riempire gli inevitabili buchi temporali presenti nei taccuini durante la stesura del romanzo.
Un libro sull’Australia e non solo…
Nei due anni in Australia te ne sono successe davvero di tutti i colori, dalle coinquiline sbagliate agli incidenti stradali. C’è un episodio che, se potessi, cancelleresti volentieri?
No, mai. Credo che gli eventi siano sempre concatenati per portarci da qualche parte. Quindi, anche quando le cose sono andate malissimo, anche quando ho pensato di toccare il fondo e di essere la persona più sfortunata del mondo, la vita mi ha presa metaforicamente per le spalle, mi ha scossa e mi ha smentita con un’altra grandiosa esperienza di vita.
Tra i tanti che invece, immagino, vorresti rivivere, se ne dovessi scegliere solo uno, quale sceglieresti?
D’impulso ti direi: fatemi tornare in fattoria, quando avevo l’amore di una famiglia adottiva, l’amore di David, l’amore dei cani. Chi ha letto il libro sa quanto sono stata felice allora. Del resto cosa mi mancava?
Invece, ragionando con calma sulla domanda, ti rispondo diversamente: fatemi tornare a quel pomeriggio fra tanti ai Carlton Gardens, quando ero distesa sull’erba e guardavo le nuvole rincorrersi, il sole faceva cucù fra gli alberi e io ero da sola, ma non lo ero più davvero perché avevo quell’amore insostituibile, l’amore per la mia persona, l’amore per ciò che ero diventata, per il l’indipendenza conquistata, per quel sapore magnifico di libertà che mi accompagnava ovunque andassi, facendomi sentire finalmente in pace. Serena. Appagata. Piena. Grata. Completa.
Un libro sulla vita da backpacker
Probabilmente questo è quello che si chiederanno tutti i tuoi lettori: sei riuscita a restare in contatto con le persone che hai conosciuto in Australia, italiane e straniere?
Certo che sì! Ho rivisto solo Laura e ci siamo consolate a vicenda con scorribande in terra salentina, al ritorno. Tutti gli altri li sento, chi più, chi meno. E mi auguro di riabbracciarli tutti quando tornerò a “casa”, nella terra dei canguri.
Dopo averlo letto, se dovessi descriverti con una sola parola, io ti definirei “coraggiosa”. Ma tu te ne rendevi conto, mentre vivevi quelle esperienze, di quanto coraggio stavi mettendo in campo?
Assolutamente no. O meglio, il primo anno l’ho vissuto con il cuore in trepidazione, soprattutto in fattoria. A volte pensavo davvero che non sarei riuscita a riabbracciare mia mamma, per un qualsivoglia morso di serpente, o perché immaginavo di finire sulle pagine di cronaca per qualche strana vicenda fra i boschi australiani (vivere senza serrature e cancelli nel bel mezzo del bosco ti lascia addosso uno scomodo senso di vulnerabilità. Provare per credere). Però quel senso di costante minaccia mi ha fortificata un sacco. Me ne sono resa conto quando sono tornata in Italia e mia mamma mi ha investito con i suoi legittimi timori da genitore italiano. Ancora sorrido quando la sento preoccupata se dormo da sola…
Ho scelto delle parole chiave e vorrei che mi dicessi ognuna di queste che ruolo ha avuto per te: zaino (backpack); musica (ce ne è tanta, cantata, ballata, pensata, dedicata); avventure (sia nel senso di avvenimenti straordinari, sia nel senso di avventure amorose).
Il backpack per me è il simbolo del viaggiatore che si vuole davvero mettere in gioco. David mi ha insegnato a viaggiare con pochissima roba nello zaino: più si accumula esperienza come viaggiatori, più leggero diventa il backpack. Si impara a riconoscere cosa è davvero fondamentale e ci si libera di cose superflue.
La musica e la mia vita sono due cose imprescindibili: è stata un’ottima compagna di viaggio, una terapeuta eccezionale, una mamma che mi ha coccolata.
Ho selezionato solo alcune delle canzoni che hanno marchiato alcuni momenti (o persone) speciali, ma ti posso assicurare che la soundtrack della mia Australia è molto più lunga. Sicuramente i brani di Chet Faker sono quelli che mi causano il magone più forte. Riportano a galla dei ricordi così intensi che mi sembra di entrare in uno stato di trance dove il presente si annulla e io sono di nuovo a 14000 km di distanza, sotto un porticato, a mangiare sea salt caramel mentre guardo gli occhi celesti dell’uomo che mi ha rivoluzionato la vita.
Avventure: tutte cariche di sensazioni che riesco a sentire ancora ora, perché mi sono entrate nell’anima, nella mente. E anche nello stomaco: io lo sento davvero un pugno carico di nostalgia ogni volta che ripenso a tutte le cose che ho combinato. Non ho mai avuto un a vita noiosa, per carità. Ma non mi sono mai sentita più viva di allora.
Nel libro sono descritte tante sensazioni, emozioni, sentimenti e valori. Se c’è un valore che sembra non deludere mai è l’amicizia. Che cosa ti ha insegnato questa esperienza a riguardo? È più facile farsi dei nuovi amici quando si è lontani da casa?
Ci sono le amicizie storiche e hanno un valore inestimabile. Sono un porto sicuro e durano nel tempo. Ma le amicizie nate quando si è lontani hanno un sapore diverso. Sono più intense, più sconvolgenti, più folli. Nascono e crescono alla velocità della luce, ti spingono ad un’intimità improvvisa, a tratti sorprendente. Un perfetto estraneo che si ritrova dall’oggi al domani a condividere segreti inconfessabili, a sorreggerti in momenti imbarazzanti, ad asciugare lacrime e mandarti a quel paese se serve (Claudia, ce l’ho con te). Purtroppo è molto arduo conservare queste amicizie, almeno lo è per me, abituata come sono a vivermi le persone in maniera totale, in carne e ossa, a stretto contatto. Sono una molto esigente, nell’amore e nell’amicizia (insomma, una rompiballe). Però considero queste amicizie un tassello fondamentale delle esperienze all’estero: senza di loro non sarei giunta ad alcun cambiamento significativo. Ho scoperto di aver sottovalutato l’amicizia per troppo tempo, sacrificandola per altre cose che ritenevo prioritarie. L’Australia mi ha dato un’altra lezione importante: senza amici siamo persi.
Che cosa significa per te essere un’italiana all’estero?
Essere dannatamente sexy. I ragazzi ti ascoltano ammaliati mentre parli, l’accento italiano lo trovano irresistibile. E le donne ti mettono su un piedistallo perché dicono che noi italiane abbiamo una marcia in più su tutto.
Un libro sulla dipendenza affettiva
Il libro affronta un tema molto importante, che in Italia, come dici nel testo, è poco approfondito. Voglio proprio riportare un passaggio, secondo me fondamentale:
“In Italia si parlava ancora troppo poco di dipendenza affettiva, c’era una coltre spessa che copriva i misfatti, pochi cercavano una spiegazione profonda alla depressione, all’inquietudine, agli abusi, ai soprusi. Si giudicava e basta, senza voler sapere. Conoscevo donne succubi lasciate a marcire nei loro rapporti di coppia malsani. C’era solo spazio per pettegolezzi e chiacchiere di paese: perché rimane con il fidanzato se lui non la rispetta? È proprio stupida. Perché si fa picchiare dal marito? È proprio una debole. Perché insegue uomini che la trattano come uno straccio vecchio? È proprio patetica. Perché salta da un letto a un altro? È proprio una puttana. Una raffica di sentenze veloci, ottuse, cieche”.
È tutto assolutamente vero. Sulla base della tua esperienza, cosa consiglieresti di fare a una ragazza che ha questo problema e che vive in un contesto in cui non viene capita?
La Valeria allergica ai contesti mediocri direbbe: amica, fai una valigia e lasciati alle spalle un posto che non ti merita. Viaggia, amplia i tuoi orizzonti e costruisciti un’autostima che nessuno possa più distruggere. Questo ho fatto io e questo consiglierei a mia figlia, se ne avessi una. Ma non si può sempre fuggire. A volte i mostri vanno affrontati in casa propria. E allora ritorna utile un ingrediente che ho menzionato prima: l’autostima.
Se non credi in te stessa, come fai a difenderti da una relazione tossica, da un partner ingombrante, da una società che ti fagocita con la sua crudeltà? La presa di consapevolezza è lenta, ma osservo alcune timide associazioni dalle mie parti e sono fiduciosa. Le donne hanno capito che bisogna parlare, confrontarsi, consigliarsi (non dico allearsi per non sembrare troppo femminista). I gruppi di auto aiuto sono pressoché inesistenti nelle realtà del profondo sud, ma esistono reti di sostegno, professionali e non, che operano nel Nord Italia, anche se io non ho avuto esperienza diretta. Ovviamente, nei casi di dipendenza affettiva più importanti, la psicoterapia rimane indispensabile, anche solo per lavorare su traumi irrisolti dell’infanzia. Ma resta il fatto che capire il proprio valore e puntare i piedi per terra per difendere a spada tratta la propria indipendenza rimane il primo passo verso la guarigione. Io lo faccio ogni giorno, ancora oggi. La mia indipendenza è la mia conquista più grande. Non me la faccio più portare via da nessuno, nemmeno da me stessa.